Nessuno conosce l’esatta data di nascita dell’e-mail, o posta elettronica. Gli storici della tecnologia la situano verso la fine del 1971, quando un giovane ingegnere informatico americano, Ray Tomlinson, allora trentenne, riuscì a spedire un messaggio elettronico da un ordinatore a un altro.
Fu quindi Tomlinson a scegliere il segno @ per separare il nome dell’utilizzatore dal nome del computer di destinazione negli indirizzi e-mail. Trent’anni più tardi, l’@ è diventato un’icona pop contemporanea. Fa parte dell’identità elettronica di centinaia di milioni di utilizzatori dell’Internet. È onnipresente sullo sfondo dello spazio comunicativo quotidiano. Dozzine di aziende e persino alcuni partiti politici hanno cercato di appropriarsene – assieme ai valori di modernità, connessione, innovazione e velocità che esprime – inserendolo per esempio nei loro marchi e nomi. Aziende come Europ@Web (che appartiene al gigante dei prodotti di lusso Louis Vuitton), Met@com, M@gic, @McKinsey (filiale del noto gruppo di consulenza), Banc@perta (controllata del Credito Valtellinese), ristoranti alla moda come @venue a Londra, in St. James Street: l’uso del segno @ nella nomenclatura è talmente diffuso anche in paesi non anglofoni che un giudice bavarese ha dichiarato illegale la sua inclusione in marchi aziendali perché «non è chiaramente pronunciabile».
Va sviluppandosi anche l’utilizzazione dell’@ per sostituire parole correnti o ampliarne il senso. I messaggi brevi inviati attraverso il telefono cellulare, per esempio, ne fanno largo uso, come in «cu 8.30 pm @ bruno’s» (“ci vediamo alle otto di sera da Bruno”). In Spagna il simbolo è usato fra i giovani come un modo politicamente corretto per evitare di specificare il sesso di una persona: «Hola, amig@s!». L’industria della pubblicità, naturalmente, lo impiega ovunque, senza vergogna.
Ma da dove viene il segno @ e cosa rappresenta esattamente?
Paradossalmente, le origini del futuristico simbolo vanno ricercate nella storia profonda: nel XV secolo, con una possibile genesi medievale, che rimane tuttavia materia di controversia fra linguisti. Iniziamo da Tomlinson, e da una breve digressione tecnica che ci permetta di meglio capire il bisogno di scegliere un simbolo divisorio per la sintassi degli indirizzi e-mail, e perché scelse proprio @. A quel tempo era impiegato da Bolt Beranek and Newman, una società che ha sede vicino a Boston che aveva ricevuto un contratto dal governo americano per partecipare allo sviluppo dell’ArpaNet, il precursore dell’Internet (Tomlinson lavora ancora lì, facendo «più o meno lo stesso lavoro», dice8, anche se l’azienda appartiene ora al gruppo GTE Internetworking).
La rete, a quel tempo, collegava una quindicina di località, università e centri di ricerca tra cui BBN. Tomlinson conosceva bene i sistemi di messaggeria esistenti, che erano stati sviluppati nella seconda metà degli anni Sessanta, e ne aveva programmato uno lui stesso, chiamandolo SNDMSG (per send message, spedire il messaggio). Questi programmi permettevano agli utilizzatori di uno stesso computer di scambiarsi delle note elettroniche, inviandole in “bucalettere” personali che erano in effetti dei files di testo ai quali era stato attribuito quel ruolo.
Detto più semplicemente, il mittente poteva aggiungere un breve messaggio alla fine del “testo-bucalettere” del destinatario: la prossima volta che questi si identificava per utilizzare lo stesso computer, la macchina gli notificava l’esistenza di un nuovo messaggio, invitandolo a leggerlo.
Questi sistemi, pur abbastanza efficaci, erano limitati a un singolo ordinatore: a quel tempo, più utilizzatori condividevano l’uso di uno stesso computer, attraverso dei terminali, mentre il personal computer sarebbe stato introdotto soltanto una dozzina di anni più tardi. Tuttavia, attraverso ArpaNet i ricercatori potevano già scambiarsi dei files fra computers diversi.
Tomlinson ebbe l’idea di usare un programma utilizzato per l’invio dei files, chiamato CPYNET, e di modificarlo in modo che potesse essere adoperato per trasportare messaggi e “appenderli” alla fine di un “testo-bucalettere” situato in un altro computer, esattamente come SNDMSG faceva localmente.
Bastò «un piccolo cambiamento del programma», dice oggi Tomlinson. Bisognava tuttavia fare in modo che i messaggi arrivassero non soltanto nel giusto computer, ma anche al giusto destinatario fra i molti che vi erano “ospitati”. Tomlinson dovette quindi creare una nuova struttura d’indirizzo che potesse identificare entrambi. Da qui il bisogno di un separatore, la scelta del segno @, e la creazione del nuovo modello d’indirizzo nomedestinatario@nomecomputer.
Richiesto del perché scelse quel simbolo, oggi risponde: «guardai la tastiera del computer per cercare un segno che non apparisse in nessun nome, e non potesse quindi creare confusione». Il simbolo @ fra l’altro aveva anche un significato appropriato, perlomeno in inglese, poiché si pronuncia at (presso). Non così, però, in altre lingue, come vedremo. Il primo indirizzo e-mail in rete fu tomlinson@bbn-tenexa, dove Tenex era il sistema operativo usato dai computers della Bolt Beranek (i “dominî” come .com, .net o i suffissi nazionali come .it per l’Italia e .ch per la Svizzera furono introdotti molto più tardi).
Tomlinson rimane oggi molto modesto sul suo lavoro. Non si ricorda il contenuto del primo messaggio che inviò –probabilmente solo «test» – e «non mi venne mai in mente che potesse trattarsi di qualcosa di più di un modo pratico e semplice per comunicare con gli altri ricercatori», dice. Per l’aneddoto: la sua scelta del segno @ suscitò una delle prime controversie della Rete. Il suo programma funzionava perfettamente sui computer che utilizzavano Tenex, ma altri ordinatori collegati ad ArpaNet operavano con sistemi diversi. Quando il segno @ era digitato su un computer basato su Multics per esempio, era interpretato come un’istruzione di «cancellare la riga attuale», il che rendeva impossibile la composizione di un indirizzo e-mail. Ciò creò grandi discussioni paragonabili in qualche modo alla più recente ostilità fra Macintosh e PC) che terminarono solo dieci anni dopo con una modifica del software Multics.
Ma da dove viene il segno @ e come era arrivato sulla tastiera del computer dove Tomlinson lo pescò?
I linguisti sono divisi. Alcuni pensano che il segno @ abbia origine nel primo medioevo, quando i monaci copisti che riproducevano manoscritti lo avrebbero creato contraendo (a vantaggio della rapidità) la parola latina ad. Si tratta di una parola piuttosto versatile, e quindi molto usata, che può significare “a”, “verso”, o “presso”. Questa teoria fu enunciata per la prima volta settant’anni fa dallo studioso americano Berthold Ullman in un libro sulla storia della scrittura, ma senza produrre prove che potessero sostanziarla.
La maggioranza dei linguisti ritiene che il segno @ sia di concezione più recente, e che sia apparso durante il XVIII secolo in ambito commerciale come simbolo indicante il prezzo per unità di un prodotto, come in «5 mele @ 10 centesimi». Il ricercatore francese Denis Muzerelle pensa che sia il risultato di un aggiustamento nella calligrafia della lettera à, usata dai mercanti francesi e tedeschi per lo stesso scopo, e scritta rapidamente @.
Più recentemente tuttavia un altro specialista, Giorgio Stabile dell’Università La Sapienza di Roma, ha prodotto alcuni documenti veneziani del Cinquecento dove il segno @ appare come un’icona rappresentante un’altra unità di peso e capacità,l’anfora. Si tratta di documenti commerciali e lettere mercantili. Stabile ha anche trovato un dizionario latino-spagnolo del 1492 dove anfora è tradotto in arroba, un’unità di misura di peso che indica circa 12,5 chilogrammi. La parola viene presumibilmente dall’arabo ar-roub, che, ancora, è usato come unità di misura, significando “un quarto”.
Ciò tenderebbe a dimostrare che il segno @ esisteva, almeno a partire dal XV secolo, in tutto lo spazio mediterraneo.
Tanto nel mondo ispanico-arabo quanto in quello greco-romano, era utilizzato come simbolo commerciale per indicare delle quantità – anche se l’equivalente unità di misura sembra essere diversa a seconda delle regioni. È quindi per un percorso naturale che questa “a commerciale” è stata poi inclusa nelle tastiere delle prime macchine per scrivere (la Underwood del 1885) da dove, ottant’anni più tardi, migrò verso i caratteri informatici standard (chiamati ASCII9) e verso le tastiere dei computers.
Il principale dilemma legato al segno @, oggigiorno, è di decidere come chiamarlo. È probabilmente l’unico carattere di largo uso che non ha un vero e proprio nome. Chiunque abbia provato a dettare il proprio indirizzo e-mail in una lingua diversa dall’inglese conosce il problema.
Gli spagnoli e i portoghesi usano ancora arroba, che i francesi hanno preso in prestito e trasformato in arobase. Americani e inglesi usano naturalmente at-sign (“il segno at”), che è stato importato e assorbito in altre lingue in forme derivate come il tedesco at-Zeichen, l’estone ät-märk, o il giapponese atto maak, oppure nella forma semplice at. In molte lingue, tuttavia, il segno è descritto usando svariate metafore tratte dalla vita quotidiana. I più comuni sono i riferimenti agli animali. Tedeschi, olandesi, finlandesi, ungheresi, polacchi e sudafricani vedono l’@ come una coda di scimmia. In francese (petit escargot), italiano (chiocciola), ma anche in ebraico, coreano e esperanto (heliko) si è scelta la lumaca (paradossalmente, in quanto snail-mail, “posta-lumaca”, è spesso usato per identificare la lentezza del servizio postale, in contrapposizione quindi alla velocità dell’e-mail). I danesi e gli svedesi lo chiamano snabel-a, cioè “la a con la proboscide”. Gli ungheresi vi vedono un bruco. I norvegesi e i danesi una coda di maiale. I cinesi un topolino. I russi un cane.
Il cibo offre un’altra varietà di metafore. Gli svedesi vedono nell’@ l’arrotolato alla cannella (kanelbulle), i cechi si sono lasciati ispirare dalle aringhe arrotolate servite nei pubs di Praga (zavinac), mentre gli spagnoli lo chiamano talvolta ensaimada, che è un panino dolce a forma di spirale tipico di Maiorca. E in ebraico naturalmente si parla di strudel. Il mio preferito, comunque, è il finlandese miukumauku, il “segno del miao”, quasi certamente ispirato dalla visione di un gatto che dorme raggomitolato.
Tratto da "Storia di @. L'origine della "chiocciola" e altre poco note
vicende dell'Internet"
di Bruno Giussani
Messaggi Brevi Collana Accordi Aprile 2003 68 pagine
ISBN 88 88179 06 2
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